Armi, gli affari d’oro italiani (e il primo cliente è l’Egitto)

Luca Liverani – Fonte: © Avvenire
16 maggio 2020

Il quadro inquietante dell’export bellico nostrano (oltre 5 miliardi di euro) nella Relazione governativa trasmessa nei giorni scorsi al Parlamento. Critiche da Rete per il disarmo e Rete della Pace

Armi italiane all’Egitto. Nonostante le nebbie sull’omicidio di Giulio Regeni. Nonostante la guerra in corso nella vicina Libia. Nel 2019 l’Italia ha autorizzato la produzione e vendita di oltre 5 miliardi di armi a Paesi in gran parte estranei alla Nato e all’Unione europea. E il cliente migliore è stato proprio il Paese guidato dal presidente Abdel Fattah Al Sisi, il cui governo continua a non collaborare con l’Italia nelle indagini sull’assassinio del ricercatore friulano. E sul quale pesano sospetti internazionali di violazione dell’embargo Onu verso la Libia, per rifornimenti di armi alle milizie di Haftar. L’altro migliore cliente dell’Italia è il Turkmenistan, guidato da un regime autoritario, accusato di costanti violazioni dei diritti, nel 2018 al terz’ultimo posto su 180 paesi nella classifica mondiale della libertà di stampa di Reporters sans frontières.

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Critiche da Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace: «Gravissimo e offensivo autorizzare la vendita di un così ampio arsenale all’Egitto, sia a fronte delle pesanti violazioni dei diritti umani del governo di Al Sisi sia per la sua riluttanza a fare chiarezza» sul caso Regei.

Le ong chiedono al governo italiano «di riferire il momento del rilascio di tali autorizzazioni per stabilirne la paternità e di sospendere ogni trattativa di forniture militari finché non sia stata fatta piena luce dalle autorità egiziane sulla morte di Regeni». «Due terzi dei sistemi militari è destinato a Paesi che non fanno parte delle alleanze politiche, economiche e militari dell’Italia», commenta Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio sulle armi, OPAL. «Ancora una volta i prodotti della cosiddetta “industria della difesa” servono molto poco alla nostra sicurezza e alla difesa comune. Anzi spesso si tratta di forniture che sostengono regimi autoritari e repressivi e che alimentano conflitti contribuendo all’instabilità di intere regioni».