Industria bellica, perché la produzione non si riconverte

Finalmente si muove anche Leonardo. Ci sono voluti due mesi al colosso nazionale degli armamenti per annunciare di voler fornire «tutto il proprio supporto» (sic!) in termini di «risorse, mezzi e persone» per sostenere le istituzioni nazionali nel contenimento dell’epidemia da Covid-19. Supporto che, come esplicita il comunicato diffuso sabato scorso dall’azienda, di fatto si riduce all’impiego di due aerei da trasporto (un C-27J ed un ATR-72) con propri equipaggi e tre elicotteri (due AW139 e un AW189) a sostegno della Protezione Civile e a fornire l’utilizzo delle proprie stampanti 3D negli stabilimenti di Grottaglie e La Spezia per produrre valvole per respiratori.

Proprio la Beretta Armi nei giorni scorsi ha annunciato in pompa magna di cercare – e poi di aver trovato – la polvere Duraform HST per poter stampare in 3D le valvole per le maschere respiratorie d’emergenza. Un annuncio che vale quanto una pubblicità. A parte l’utilizzo temporaneo di qualche stampante, le industrie del settore militare si guardano bene dal convertire ad uso civile le proprie linee di produzione. In Italia ci sono 231 fabbriche di armi comuni e ben 334 aziende sono annoverate nel registro delle imprese a produzione militare. Ce n’è invece solo una in tutta Italia che produce respiratori polmonari, per l’acquisto dei quali dipendiamo dall’estero. Quale sia oggi la priorità non occorre dirlo.

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