Proiettili italiani in Myanmar, ora bisogna «colmare il buco»

Dopo il golpe. Il caso Cheddite e la possibilità di aggirare la legge con la scusa della caccia al cinghiale

La ditta livornese Cheddite, al centro della polemica su cartucce col suo marchio ritrovate in Myanmar nel marzo scorso nei teatri di scontro tra popolazione civile e militari golpisti birmani, continua a non rispondere alle nostre richieste di chiarimenti. Stesso discorso per l’azienda turca che detiene il marchio Yaf (la ZSR Patlayici Sanayi A.S.), attraverso la quale si sospetta siano arrivate su suolo birmano le cartucce italiane da caccia calibro 12 in questione.

LA RISPOSTA DEL GOVERNO all’interrogazione parlamentare di Erasmo Palazzotto – di cui il manifesto ha dato conto giovedì scorso – su come l’embargo sulle armi a cui l’Ue sottopone il Myanmar dagli anni ‘90 possa essere stato aggirato, è molto dettagliata anche grazie a un controllo effettuato dalla Questura di Livorno all’azienda franco-italiana.

La risposta, affidata al sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano (5 Stelle), conferma quella che il manifesto aveva definito «la pista turca», ovvero la fornitura alla ditta anatolica in questione di «kg 400.000 di polvere senza fumo per la produzione di cartucce da caccia e da tiro per fucili ad arma liscia» il 26 febbraio 2020 e il 20 gennaio 2021.[…]