SeaFuture, così l’Italia venderà navi ai regimi dittatoriali e in guerra

Carmine Gazzanni – Fonte: © Left
25 giugno 2018

Egitto, Turchia, Israele, Arabia Saudita, Qatar, Marocco, Angola. Paesi che non brillano per la tutela dei diritti umanitari. Paesi tutti invitati – e tutti presenti – a SeaFuture, il maxi salone che si è tenuto dal 19 al 23 giugno a La Spezia. Forse pochi ne sono a conoscenza, ma parliamo di un evento colossale, una sorta di “expo” dell’arsenale militare. Basti pensare che tra gli organizzatori c’erano Aiad (la Federazione delle aziende italiane per l’aerospazio e la difesa) e la Direzione nazionale degli armamenti del Segretariato generale della Difesa. E tra gli operatori principali presenti, oltre alla stessa Marina militare, numerose aziende del settore militare tra cui Leonardo, Mbda e Fincantieri. Evidente, dunque, come l’evento abbia una forte componente “armata”.

Eppure nel 2009, anno di nascita dell’evento, le cose erano leggermente diverse: il salone si teneva presso il centro fieristico SpeziaExpò con l’obiettivo di essere «la prima fiera internazionale dell’area mediterranea dedicata a innovazione, ricerca, sviluppo e tecnologie inerenti al mare» per il settore civile. Dal 2014, però, qualcosa cambia: l’evento viene spostato all’arsenale militare e diventa sempre più preponderante il ruolo rivestito dalla Marina militare. Non è un caso che, nel comunicato ufficiale di lancio dell’edizione di quest’anno, si leggesse chiaramente che «la manifestazione assume una grande rilevanza internazionale grazie alla presenza delle marine estere (…) che potrebbero essere interessate all’acquisizione delle unità navali della Marina militare non più funzionali alle esigenze della squadra navale». Insomma, «un vero e proprio mercato dell’usato militare», denuncia Giorgio Beretta, analista dell’Opal (Osservatorio Permanente Armi Leggere)leggi tutto l’articolo