Troppo facile avere una pistola in Italia, si muore di più uccisi da chi le detiene legalmente che di mafia e di rapine

di Edoardo Venditti – Fonte: ©Tuscia Web
15 giugno 2021

Intervista a Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa di Brescia, sulla strage di Ardea e sulla situazione generale in Italia

Viterbo – La strage che si è consumata ad Ardea, dove un uomo 34enne ha sparato e ucciso un signore di 74 anni e due fratellini di 10 e 5 anni, per poi suicidarsi, ha scosso tutto il paese. Da ogni parte dell’Italia sono arrivati infatti messaggi di cordoglio per le vittime innocenti e di vicinanza per i loro familiari. Ma la strage ha soprattutto sollevato tutta una serie di interrogativi sulla questione delle armi legalmente detenute in Italia. E, in particolar modo, sui controlli su chi quelle armi le detiene. L’arma utilizzata da Andrea Pignani per la strage, infatti, era appartenuta a suo padre, un’ex guardia giurata deceduta diversi mesi fa, che aveva continuato a detenerla anche una volta in pensione. E dopo la sua morte, quella pistola è entrata nella disponibilità del figlio, recentemente sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio. […]

Cosa rischia un familiare che ha ereditato un’arma nel caso in cui non dovesse denunciarla regolarmente?
“La sanzione in questo caso è ridicola. Se non si denuncia la presenza in casa di un’arma appartenuta a un familiare deceduto, o il fatto di averla ereditata, si potrebbe anche incappare nell’incarcerazione dai due a dieci mesi. Di fatto, però, questa misura viene sostituita da una sanzione fino a 375 euro. Tutto dipende quindi dal legale detentore di armi prima, e dai suoi parenti una volta deceduto. L’arma è considerata alla stregua di tutti gli altri beni ereditari. Quando dunque muore un legale detentore, l’arma non va allo stato ma finisce nella disponibilità degli eredi. Se questi non denunciano, le armi sono fuori controllo”.

Cosa si potrebbe fare per intensificare i controlli ed evitare che si ripetano vicende come quella di Ardea?
“Da tempo sostengo la necessità di censimento radicale. Bisognerebbe dare un anno di tempo a tutti coloro che hanno armi in casa di andarle a denunciarle senza incorrere in nessuna pena per non averlo fatto prima. Nel momento stesso in cui le denunciano, i detentore dovrebbe inoltre comunicare se vogliono continuare a tenerle o meno. Nel primo caso, è necessario che facciano tutta la trafila per ottenere una licenza per le armi. Nel secondo caso, invece, le devono consegnare alle autorità di pubblica sicurezza, le quali dovrebbero poi provvedere a rottamarle”.

Ci sono proposte politiche presentate in parlamento che chiedono più controlli sulle armi legalmente detenute?
“Nel corso del tempo sono state presentate alcune proposte. Nella scorsa legislatura, per esempio, il Partito democratico ne ha presentata una che chiedeva di intensificare i controlli e di fare in modo che la domanda di rinnovo della licenza per armi, anziché ogni 5 anni, venisse fatta su base annuale. Poi nell’aprile 2019 i senatori del M5s Mattia Crucioli e Gianluca Ferrara hanno presentato un disegno di legge che contempla, fra i vari punti, l’istituzione di un’anagrafe informatizzata per il collegamento fra le strutture sanitarie e le autorità preposte al rilascio e al rinnovo del porto d’armi, affinché si possa tempestivamente revocarlo a soggetti psichicamente non idonei. Ma finora è rimasto nel cassetto. Forse sono ancora pochi i politici disposti a farsi dei nemici tra i signori delle armi”.


Giorgio Beretta è analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal) di Brescia, che fa parte della Rete italiana per il disarmo. Tra i maggiori esperti italiani in materia, da anni si occupa della legale detenzione domestica di armi e sull’argomento ha pubblicato molti studi e articoli sia per l’Opal che per diversi quotidiani e riviste italiane.