Viaggio nella lobby delle armi italiana

Marco Romandini – Fonte: © Wired
14 settembre 2018

Esiste una Nra italiana? Che cos’è il Comitato D-477 e quali sono i suoi rapporti con i politici italiani e le aziende che producono armi?

Da venerdì 14 settembre entrerà  in vigore il nuovo decreto sull’acquisizione e la detenzione di armi. Forse non creerà – come qualcuno sembra immaginare – una sequela di giustizieri in canotta della salute pronti a stendere il ladruncolo di turno con una raffica di Kalashnikov ottenuto con una mail, ma la sua attuazione solleva diverse perplessità. Una su tutte: si grida alla vittoria della lobby delle armi. Quale lobby?

Secondo Giorgio Beretta, sociologo, membro della Rete italiana per il disarmo (Rid) e ricercatore per l’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) di Brescia, le due associazioni collaborano seguendo una precisa tecnica di comunicazione: “C’è il Comitato D-477 che svolge la funzione istituzionale di presentare quelli che vengono descritti come legittimi interessi dei legali detentori di armi, mentre dall’altro c’è Firearms United Italia che, promuovendo un’agenda molto più radicale e oltranzista, svolge il ruolo di propaganda sui social, in particolare Facebook e Twitter, fungendo da megafono mediatico e anche invitando i seguaci a rispondere agli attacchi dei media“.

Giorgio Beretta dice di intravedere la stessa tecnica utilizzata dall’Nra in America: “Sembra lo stesso stratagemma, far passare l’idea di curare l’interesse dei legali detentori di armi quando invece si stanno sostenendo quelli delle industrie del settore. Nell’Nra c’è un nucleo pensante che promuove le idee, poi ci sono gli adepti, e dietro le quinte l’industria delle armi leggere. I tipi di slogan che usano sono quasi gli stessi“.

Quando nasce questa lobby? A febbraio 2015 Firearms manda questa lettera (nemmeno firmata) indirizzata alle maggiori associazioni di armi, chiedendo di unirsi per combattere una battaglia comune.

Lo scopo di Firearms è infatti di costituire una Nra europea.

Il 2015 è data interessante. Nello stesso anno si forma il Comitato D-477 (e aderisce a Firearms) e Firearms invia la sua lettera. Ma è anche lo stesso anno in cui arriva Brownells Italia.

Questa mobilitazione del settore, secondo Giorgio Beretta, si spiegherebbe anche con il calo di uno sport come la caccia, limitato dalle leggi e attaccato dalle associazioni animaliste tanto da renderlo ormai fuori moda. Per la sopravvivenza di produttori e rivenditori doveva essere sostituito con un nuovo hobby come il tiro sportivo, ma forse anche da qualcos’altro.

Assistiamo a un cambiamento del mercato delle armi in Italia“, spiega Beretta. “Fino a 5, 10 anni fa le armi più vendute erano quelle da caccia, ma il numero dei cacciatori e diminuito, mentre il numero delle licenze sportive è aumentato. Questo probabilmente nasconde il desiderio di tenere armi corte in casa come pistole e revolver, oltre agli Ar15 (il fucile della strage di San Bernardino). Seguendo questo trend, l’azienda Beretta ha ad esempio sviluppato l’Arx100, che altro non è che la versione comune dell’Arx160 che utilizza il nostro esercito“.

Secondo il sociologo l’obiettivo “era contrastare il calo delle vendite di fucili da caccia con altre forme. Da qui l’interesse di mantenere alta l’attenzione sulla difesa personale, non tanto per vendere più armi quanto per avere una società più controllata. Come in America si crea il connubio tra Nra e repubblicani, qui probabilmente si è creato con la Lega”.

Ma può veramente nascere una Nra nel nostro paese capace di influenzare le decisioni del governo? Secondo l’ultima ricerca realizzata dall’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” per conto di Anpam, in Italia si producono 658.958 armi l’anno(maggior produttore in Europa) e 965.591.540 munizioni per un fatturato annuo totale di 581.022.940 euro. Sommando l’effetto indotto, il valore totale del settore sarebbe pari allo 0,44% del pil. È evidente però che il grosso del fatturato delle armi proviene dalle esportazioni (90,2%)…leggi tutto l’articolo